Archeologia delle migrazioni – Atti del convegno

Il 12 e 13 novembre 2015 si svolse a Parigi il Convegno “Archéologie des Migrations” organizzato dall’INRAP, Institut National des Recherches Archéologiques Préventives, e il Musée National de l’histoire de l’Immigration. Dopo un anno e mezzo prendono forma gli Atti di quel convegno, in lingua francese, ma che vale la pena di leggere anche in Italia. Per questo mi sembra utile parlarne qui. “Archéologie des Migrations” è a cura di Dominique Garcia (INRAP) e di Hervé Le Bras.

Ho saputo della pubblicazione, inutile stupirsi, attraverso twitter: Dominique Garcia, direttore dell’Inrap, dal suo account ha lanciato una serie di tweet in cui annunciava la pubblicazione di questi Atti, fornendo anche il link al quale leggere in anteprima, in formato open, l’introduzione del volume. Sono subito corsa a leggerla. E sì, vale la pena di dedicarle un post. Il tema infatti è troppo ghiotto e troppo importante ai giorni nostri per non osservarlo da un punto di vista archeologico: l’archeologia del resto non ha una fortissima valenza sociale?

Migrazioni di ieri e di oggi

Il tema è di quelli davvero caldi. Un tema di estrema attualità che coinvolge, secondo la nostra prospettiva europea, i Paesi dell’UE e del Mediterraneo, ma che in un’ottica mondiale è una problematica, o meglio un fenomeno sociale che assume, in certi casi, i toni di una problematica di livello globale. Ovunque nel mondo si assiste a flussi migratori di singole persone, di famiglie, di gruppi umani che dal loro luogo di origine si spostano verso un altro.

Il tema è molto sentito in Europa e non serve che spieghi qui il perché. Mi soffermo invece sul perché è importante a mio avviso che si parli di migrazioni (non solo di immigrazione, ma di migrazioni) da una prospettiva che, guardando il presente, rilegge il passato in modo da arrivare a comprendere proprio il presente.

Per comprendere le finalità del volume l’Introduction è il testo fondamentale, la vera dichiarazione di intenti. I vari interventi del Convegno, che si trovano in indice, affrontano alcune tematiche archeologico/storiografiche che dal Paleolitico arrivano fino all’Età Moderna passando per il Neolitico, la colonizzazione greca (un intervento è anche dedicato alla sempre tanto dibattuta questione dell’origine degli Etruschi), le invasioni barbariche e la Tratta dei Neri, per citare i temi più noti.

L’Introduction mette a confronto le migrazioni di ieri con quelle di oggi. E ci dice subito una cosa: il termine “migrazione” è un’invenzione piuttosto recente: entra nella letteratura scientifica solo nel 1885 e poi nel 1889 con “The laws of migration” di Ernst Ravenstein che scrive a proposito degli spostamenti di popolazione all’interno dell’Inghilterra. Nel secolo precedente, invece, viveva il topos letterario dell’immobilità: Adam Smith sostiene che “di tutti i bagagli, l’uomo è il più difficile da smuovere” e Montesquieu scrive che gli uomini si sono abituati a vivere nel clima in cui sono nati, per cui se si spostano altrove, non riuscendosi ad adattare, vivono male e poco. Altro che migrazioni!



Cosa c’è alla base degli spostamenti umani, nel corso della storia? Quattro fattori, secondo Garcia e Le Bras: la crescita demografica, i cambiamenti climatici, lo spirito d’avventura e la maggiore possibilità di muoversi di alcune classi sociali (da quando queste compaiono strutturate nelle società umane), in particolare delle classi guerriere.

Partendo dalla Preistoria, dal Paleolitico, si stima in 10 mila anni lo spostamento di gruppi umani dall’Africa Orientale alle Isole della Sonda: il che vuol dire che ogni generazione si è spostata di 20 km circa rispetto alla precedente. Naturalmente è una media, ma bisogna pensare a piccole progressioni, piuttosto che a lunghe migrazioni. I km aumentano con il progredire dell’umanità: nel Neolitico lo spostamento si calcola in 30 km a generazione, considerando il momento dell’apparizione dell’agricoltura in Medio Oriente e il suo arrivo e propagazione in Europa.

Ed ecco un primo dato su cui riflettere: gli spazi delle migrazioni in rapporto ai tempi; e in rapporto alla tecnologia, aggiungerei. Perché solo la progressione tecnologica nei mezzi di trasporto ha fatto sì da creare spostamenti sempre più globali in tempi più rapidi. Rischiamo però di perdere di vista il tema della migrazione confondendolo con quello del viaggio. Per certi aspetti questi due temi coincidono, ma non ai fini del discorso.

Tornando a noi, le cose si complicano poi, nel Neolitico, con la comparsa di comunità di allevatori: esse sì che si spostano, percorrendo lunghe distanze, seguendo la transumanza degli armenti. Si cominciano a distinguere comunità stanziali, agricole, da comunità nomadi. Queste, avendo bisogno di nuovi spazi dove installarsi, iniziano ad entrare in collisione con le comunità stanziali. Ecco i primi villaggi fortificati, ecco le prime invasioni.

L’invasione ha sempre una connotazione militare. Un esercito che invade un territorio lo fa per occuparlo, per conquistarlo, non sempre necessariamente per stanziarvici. Un popolo che invade un territorio raramente lo fa pacificamente. La parola invasione ha sempre una connotazione negativa, da parte di chi la subisce.

Se si parla di invasioni, con brusco salto temporale, non si può non parlare delle “invasioni barbariche“. Da decenni ormai il fenomeno storiografico delle invasioni è stato letto sotto sguardi molteplici che ne hanno ridimensionato la portata mostrando che sì, vi furono migrazioni di popolazioni, impossibile negarlo, ma il problema è molto più complesso di come ce l’hanno spiegato alle Elementari. Alla questione delle invasioni nel corpo del libro sono dedicati alcuni interventi piuttosto dirimenti sulla questione. Inoltre, essi hanno la caratteristica di avere una prospettiva franco-centrica: dunque il discorso si fa interessante perché completa il quadro che noi abbiamo chiaro per l’Italia, meno per le altre aree d’Europa che furono colpite dal fenomeno.

Ed ecco il secondo confronto con l’oggi: migrazioni intese come invasioni di popoli non se ne verificano più, almeno non secondo gli schemi delle invasioni antiche. Ma di qualunque tipo queste migrazioni siano, massicce o meno, pacifiche o meno, vengono sempre lette come “invasioni”: e basta guardarsi intorno oggi per vedere che è così.

Archeologia delle migrazioni

Metodologicamente come funziona l’archeologia delle migrazioni? O meglio, quali sono i passaggi obbligati che mettono l’archeologo davanti all’evidenza di una migrazione antica?

La riflessione è tanto semplice quanto illuminante: è l’uovo di Colombo. Poiché si parte dal dato archeologico, dalla traccia materiale, necessariamente l’indagine archeologica deve viaggiare a ritroso e ricostruire dal punto di arrivo a quello di partenza la dinamica migratoria di una popolazione. Di fatto, la traccia archeologica che indizia una migrazione è il ritrovamento di oggetti che indicano produzioni e pratiche, quindi culture, alloctone rispetto a quella autoctona. Dunque, presa coscienza del dato archeologico, occorre andare indietro nello spazio per risalire al luogo di provenienza. Non si segue la popolazione dal suo punto di partenza, ma se ne ricostruisce teoricamente il percorso a ritroso.

Ed emerge un dato importante. Importante anche per capire le migrazioni attuali. Le popolazioni migranti, che si spostano, nel loro punto di arrivo portano nuovi spunti, nuovi oggetti e materiali, nuove tecniche e idee, nuove lingue e scritture. E nel lungo periodo, se osserviamo le dinamiche storiche, notiamo come certi nuovi apporti influenzino e si vadano a sovrapporre in tanti casi alle culture autoctone. Nel caso della colonizzazione greca dell’Italia meridionale, per fare un esempio, si parla di ellenizzazione: migrazioni di gruppi umani fondano nuovi centri in territori già antropizzati, in qualche caso scontrandosi in qualche caso vivendo accanto alle società indigene. Da qui il lungo processo dell’acculturazione delle popolazioni autoctone è visibile nei corredi funerari o in altre manifestazioni umane: lo si legge bene al Museo archeologico della Lucania Occidentale, o alla mostra “Pompei e i Greci“, di cui trovate il resoconto in questo blog.

Le comunità umane sono fluide, fluidi sono gli sviluppi culturali, dovuti a contatti costanti, talvolta sporadici, talvolta massicci, come nel caso di un intero gruppo umano che spostandosi entra a contatto con un altro. Nel lungo periodo le influenze reciproche portano ad avanzamenti, o cambiamenti culturali che magari non si notano nella contemporaneità, ma sono visibili solo in una prospettiva storica.

E le migrazioni sono insite nel genere umano, dalla Preistoria fino a noi. Non sono sempre state invasioni, non sempre sono state percepite come tali.

Interessante il fatto che un convegno sull’archeologia delle migrazioni si sia svolto in Francia, terra da sempre interessata, come l’Italia del resto, da fenomeni migratori piuttosto ingenti. Oggi la migrazione è un fenomeno sociale cui è dedicata un’attenzione internazionale che non è solo politica, che non è solo civile, ma che è anche e soprattutto culturale. Ecco che allora l’ottica archeologica punta a dare una lettura diversa, attuale, del fenomeno nel passato e a fornire una lettura storica di quanto si verifica attualmente, completando così il quadro della nostra comprensione sull’argomento.

da generazionediarcheologi.com

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